L’expérience Zola
Venerdì 29 settembre alle ore 21 con più incontro con il regista.
È la trama di L’expérience Zola, film che il regista Gianluca Matarrese presenterà l’8 settembre alle Giornate degli Autori di Venezia. Attraverso una mise en abyme (una «storia nella storia»), la pellicola sfida quel confine nebuloso dove la finzione si fonde con la realtà, dove la vita si fonde con l’arte. Nato e cresciuto a Torino, Matarrese, classe 1980, si è trasferito a Parigi, all’età di 22 anni: lì ha completato gli studi di cinema e teatro. «In me convivono due identità—mette subito in chiaro —, una appartiene al cinema, l’altra al teatro, il mondo da sempre più presente nella mia vita». Del cinema, prosegue il regista, «mi interessa il suo essere uno specchio del mondo. L’approccio sociologico attraversa sia i miei lavori teatrali che cinematografici, a partire dall’opera con cui ho esordito, Fuori tutto, una tragedia tra Shakespeare e Cechov, in cui ho raccontato il fallimento dell’azienda di famiglia, la cooperativa di calzature Togo. Un documentario, ma narrativo. L’expérience Zola si colloca sul versante opposto di Fuori tutto: prima col reale “narrativizzavo”, ora ho reso la finzione il più reale possibile. Codici e linguaggi diversi che dialogano, una narrazione che sento appartenermi pur non inventando nulla. Il primo film della storia, L’uscita dalle officine Lumière (La Sortie de l’usine Lumière) dei fratelli Lumière, era un documentario... ».
Nelle sequenze iniziali de L’expérience Zola vediamo Anne alle prese con gli scatoloni. «Il trasloco, la casa, la famiglia, il declino, le ambizioni sono temi che tornano nelle mie opere—osserva Matarrese —.Quello che mi interessa, ed è un punto che mi accomuna a Zola, è arrivare a dipingere una società attraverso i suoi attori, intensi come coloro che agiscono. È mediante la collaborazione con Anne Barbot che ho messo a fuoco l’opera di Zola. Nella versione del romanzo da lei adattata per il teatro, emerge con chiarezza come L’Assommoir sia un’opera che interroga il nostro tempo. Come sostiene Anne, “le lotte del XIX secolo fino al XX mi appassionano in quanto artista perché le questioni sono altrettanto brucianti, e mi risuonano, mi spaventano, mi indignano, mi interrogano allo stesso modo. Quando la memoria del passato dialoga così ardentemente col presente, è un’onda di choc. Donne, violenza, incidenti sul lavoro: voglio dare la parola a quanti nei romanzi sono rimasti nell’ombra”. Ecco, in qualche modo ci siamo “appropriati” di tutto questo, abbiamo scritto il nostro Zola. Ci siamo a tal punto innamorati di questo autore che tra i miei progetti c’è un film su Teresa Raquin, il suo primo romanzo, un thriller pazzesco. C’è nel modo di scrivere di questo autore una dimensione verista che comparerei ad autori di narrativa italiana storicamente più “tardivi” come Moravia o Pavese».