Pantalone memento mori
Il vecchio Pantalone, inquieto, fruga in un cassone in cui sono gettati alla rinfusa dei “ricordi di famiglia” e si sta chiedendo che ne sarà del glorioso patrimonio dei Bisognosi e del buon nome della casa, quando lui non ci sarà più e... tutto andrà a finir a Patrasso...
Da qualche tempo gli sorgono improvvisi questi turbamenti sulla fragilità della propria esistenza.
Nell’oscurità della “scafa” due figuri, nel frattempo, stanno tramando per spiare il capofamiglia e le sue intenzioni circa il proprio testamento. Arlecchino, fra una polenta che non si decide a cuocersi e la quotidiana dose di fatiche e bastonate, si chiede che sarà di lui quando el paron vecio se ne sarà andato. Colombina si allena da anni a sedurre almeno uno dei due paroni de casa per farsi maritare e sistemarsi così definitivamente.
Il dottor Balanzone passa di frequente per controllare lo stato di salute del suo moribondo preferito.
Ma una visita fuori dall’ordinario sconvolgerà situazioni e astuti piani strategici.
E, su tutto, aleggia una vocina fatale...
Riflessione teatral-burattinesca sul tempo che trascorre come impetuoso fiume e sulla Secca Signora che a passi implacabili a noi tutti si appropinqua. (Consentiti e vieppiù caldeggiati gesti scaramantici e apotropaici d’ogni genere)
Spettacolo di Teatro di Burattini della Commedia dell’Arte Veneta per un pubblico di giovani e adulti.
Con Paolo Papparotto (Pantalone, Arlecchino), Paolo Saldari (Brighella, Lelio, Colombina, Balanzone) e Cristina Cason (Mefistofele).
Baracca, scenografia e oggetti di scena: Paolo Saldari con la collaborazione di Cristina Cason.
Burattini: ideati e costruiti da Gigio Brunello, ottimizzati da Cristina Cason.
Tecnica: burattini a guanto della tradizione veneta su baracca architettonica .
Produzione L’Aprisogni e Paolo Papparotto Burattinaio
La rassegna
La Val Brembana ha generato nei secoli numerose storie tradizionali, spesso violente e feroci, che mettono al centro le nostre paure primordiali: l’abbandono, la malattia, la carestia, la fame, la morte, gli uomini selvatici. Non è un caso che la tradizione della commedia dell’arte prenda le mosse in valle dove è forte il mito dell'uomo selvatico: essere controverso che vive nei boschi, ai margini della società, con caratteristiche talvolta demoniache, signore degli animali, amico degli spiriti dei boschi, come ce lo rappresenta l’affresco di Oneta di San Giovanni Bianco. Esisteva in epoca molto antica una maschera chiamata Homo Selvadego, villoso, armato di un nodoso bastone, protagonista di molte rappresentazioni ludiche o carnevalesche. Di questa figura popolare si impadronì alla fine del XVI secolo la commedia popolare per dare nuovo spicco alla maschera dello Zanni, progenitore di Arlecchino.
E dalle storie più suggestive e spaventose della Valle siamo partiti per immaginare anche un percorso laboratoriale dedicato ai ragazzi dell’Università di Bergamo, guidati da due drammaturghi professionisti. Del lavoro emerso sarà fatta una restituzione pubblica nella prima serata del Festival.
Un filo rosso ben evidente lega quindi tutti gli eventi del festival: al centro delle storie che abbiamo scelto quest’anno, ci sono personaggi che tradizionalmente occupano uno spazio che sta al di fuori della comunità di riferimento e che incarnano, per motivi diversi, le paure della comunità stessa che reagisce attivando strategie difensive.
Il teatro, per sua natura, è uno strumento di catarsi: rappresentare su un palcoscenico paure, dolori, angosce aiuta a controllarle e a superarle. La commedia dell’arte, le sue maschere più antiche e i primissimi canovacci prendono le mosse proprio da questa urgenza. Un’urgenza sempre attuale.